martedì 27 aprile 2021

LA MODA DEL PAISLEY


Ok c’è di mezzo una semifinale, lo sappiamo. In ogni caso l’ultima volta che il Saint Mirren raggiunse l’atto conclusivo di una Coppa di Scozia era il 1987. Mai più successo, al punto che perfino nella cittadina avevano smesso di crederci e nel 2017, a trent’anni esatti dalla ricorrenza, convocarono di tutta fretta un artista di strada, Mark Worst, e gli misero a disposizione un muro di Brown’s Lane per fargli disegnare l’immagine della squadra che sconfisse il Dundee United a Hampden 1-0 con una rete di Ian Ferguson ovviamente ritratto nell’opera insieme agli altri compagni con l’aggiunta di due giocatori di cui il Worst tifoso si era innamorato da bambino: Jackie Copland e Chick Young. Oh, chiariamo la nudità del concetto per i non addetti ai lavori: il Saint Mirren non è Saint Mirren. Viceversa il Saint Mirren è Paisley, un arcano piuttosto semplice da girare sul tavolo poiché il club dei “buddies” (commilitoni o compari) spunterà da una costola di una società di cricket, quando tutti i giovanotti di buona famiglia si chiamavano gentiluomini, anche se non lo erano affatto, e per il loro club mutuarono il nome dal santo patrono locale svezzato nell’abbazia irlandese di Bangor. Paisley sfugge alla linguaccia di Glasgow per puro istinto morfologico, cercando una sorta di salvezza catastale sporgendosi verso l’insenatura stretta del Clyde dove il vento sembra spingere le nubi più velocemente rispetto ad altri luoghi, è ciò permette al sole di illuminare con maggiore clemenza questa città, attraversata dalle acque scure del profluvio Cart. Il pub da segnare sull’agenda è tutto un programma: The Wallace in Causeyside Street. Si cede immediatamente ogni ormeggio davanti a una pinta di Tennent’s (spillata a pompa non a gas, Dio li benedica) dalle venature ramate con una schiumetta leggera pronta a svanire come un piccolo prodigio. L’esterno è di un blu anticato, dentro elegante, arioso, con il bancone in legno, le luci smorzate, i tavolini quadrati, e divanetti imbottiti con la seduta in pelle fissata da chiodi d’ottone dalla testa semisferica. Non ci sono i vetri istoriati, e qualcos’altro di troppo moderno si nota, ma alla fine sono peccati veniali e comunque basta non farci caso. La tappezzeria rende tributo (e vorrei vedere il contrario...) al tessuto storico del toponimo: “Paisley”. Si tratta di una stoffa dal disegno orientaleggiante che rappresenta il germoglio della palma da dattero. Il decadentismo del XIX secolo se ne innamorò follemente regalando notorietà e lavoro alle industrie tessili della zona. Bevete la birra appoggiando delicatamente il bicchiere alle labbra come per un tenero bacio, citando maldestramente il bardo. In fondo se si vuole conoscere il Saint Mirren è obbligatorio ricercare residui del vecchio Love Street. Nessun Indiana Jones, trattasi di una banale tappa di raccoglimento obbligata a ricordo del terreno che ha benedetto le gesta dei “buddies” per 115 lunghi anni. Curioso magari sapere che Jim Morrison scrisse una canzone con questo titolo nel 1968 proprio quando il Saint Mirren vinse il campionato di seconda divisione trascinato dalle reti di Peter Kane. Nel 2007 (affaruccio) la terra fu venduta alla Tesco per la creazione di un supermercato e con i proventi il St. Mirren si è rifatto l’abito costruendosi un nuovo impianto qualche miglia più a ovest. Scivolando nell’aneddoto possiamo garantire che la maglia d’esordio del club presentava tonalità blu- scarlatto, finché nel 1883 si passò alle strisce bianconere, dapprima orizzontali, in seguito verticali. Ecco, se non ci sono dubbi sull’ anno del mutamento cromatico, resta una disputa sul motivo della modifica. Una teoria sostiene che le strisce rappresentino l’unione dei fiumiciattoli che attraversano l’abitato, il “White Cart” e il “Black Cart”. Negli ultimi anni, tuttavia, si è fatta strada l’ipotesi monastica legata all’abbazia cluniacense eretta a due passi dai corsi d’acqua. Infatti l’abito talare dell’ordine reca esattamente questa tinta. Ma andiamo al 1987 attraverso una specie di grandangolo privilegiato dove si vede, seppure immancabilmente sfocato dal tubo catodico del periodo, il St. Mirren di Alex Smith, occhi a fessura e sorrisetto malinconico, nato a Cowie, un villaggio annerito di minatori, altrettanto anneriti, nei pressi di Stirling. Nel dicembre del 1986, a stagione in corso, approda quindi a Love Street. Sembrava una stagione da consegnare agli annuali senza niente di speciale da segnalare. Le notizie più importanti che caratterizzavano le discussioni nei pub di Paisley erano sostanzialmente due, anzi tre. Il governo di Margaret Thatcher che annunciava la famigerata poll tax, la curiosità per l’arrivo di Smith, infine i 3 cartellini rossi rimediati da Billy Abercromby in una partita di campionato con il Motherwell che gli valsero ben 12 giornate di squalifica. Episodio disdicevole per un giocatore che in pratica ha regalato tutta la sua carriera a questo club ma evidentemente tenutario di qualche piccolo problemino caratteriale se si considera che negli anni successivi sarà purtroppo coinvolto in pesanti problemi di alcolismo. Alex Smith ebbe la capacità di leggere dentro la testa del ragazzo e di riportarlo alla tranquillità. Abercromby era un centrocampista nerboruto dal baffetto accennato che in virtù dei regolamenti delle carte federali avrebbe potuto essere schierato in coppa e la cosa ripagò le attenzioni del manager con prestazioni di ottimo livello. Occorre spendere qualche altro nome per far girare meglio il Juke Box di quei Saints al ritmo di: “The Buddies Came Roaring Back”: Kenny McDowall, Paul Chalmers, Peter Godfrey (centrocampista con una vaga assomiglianza con l’attore Peter Sellers), il già citato, “ossigenatissimo”, Ian Ferguson, e Frank McGarvey. La storia di McGarvey va appuntata al cancello di Love Street. I suoi ricci ribelli, il suo dispotico destro, avevano incominciato qui la carriera prima che un altro Paisley, nel 1979, vale a dire Bob, l’allenatore del Liverpool si infatuerà del ragazzo portandolo ad Anfield per 270000 sterline. Al Liverpool però McGarvey non troverà il giusto spazio in mezzo a tanti, troppi campioni e dopo dieci mesi stagnanti sulla Mersey tornerà in Scozia al Celtic. Cinque anni a Parkhead e 78 sigilli, poi nel 1985 rieccolo là dove tutto era iniziato. Billy Abercrombie fu il capitano che accompagnò in campo i ragazzi di Alex Smith il 16 maggio 1987 all’Hampden Park di fronte a 51782 spettatori. Maglia bianca con impercettibili striscioline nere e sponsor rosseggiante della ditta “Clydeside”. L’incontro si trascinò abbastanza scarno di emozioni fino ai supplementari. E in quella mezzoretta di passione, mentre sulla BBC2 i Simple Minds cantavano in diretta “Live in the City of Light” guadagnando la vetta della hit parade, Ferguson sparerà un bolide su cui il portiere del Dundee United Billy Thompson onestamente non potette opporsi. St. Mirren 1- Dundee United 0. E’ tempo di riprovarci.
 

 

 


 

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