Ok
c’è di mezzo una semifinale, lo sappiamo. In ogni caso l’ultima volta
che il Saint Mirren raggiunse l’atto conclusivo di una Coppa di Scozia
era il 1987. Mai più successo, al punto che perfino nella cittadina
avevano smesso di crederci e nel 2017, a trent’anni esatti dalla
ricorrenza, convocarono di tutta fretta un artista di strada, Mark
Worst, e gli misero a disposizione un muro di Brown’s Lane per fargli
disegnare l’immagine della squadra che sconfisse il Dundee United a
Hampden 1-0 con una rete di Ian Ferguson ovviamente ritratto nell’opera
insieme agli altri compagni con l’aggiunta di due giocatori di cui il
Worst tifoso si era innamorato da bambino: Jackie Copland e Chick Young.
Oh, chiariamo la nudità del concetto per i non addetti ai lavori: il
Saint Mirren non è Saint Mirren. Viceversa il Saint Mirren è Paisley, un
arcano piuttosto semplice da girare sul tavolo poiché il club dei
“buddies” (commilitoni o compari) spunterà da una costola di una società
di cricket, quando tutti i giovanotti di buona famiglia si chiamavano
gentiluomini, anche se non lo erano affatto, e per il loro club
mutuarono il nome dal santo patrono locale svezzato nell’abbazia
irlandese di Bangor. Paisley sfugge alla linguaccia di Glasgow per puro
istinto morfologico, cercando una sorta di salvezza catastale
sporgendosi verso l’insenatura stretta del Clyde dove il vento sembra
spingere le nubi più velocemente rispetto ad altri luoghi, è ciò
permette al sole di illuminare con maggiore clemenza questa città,
attraversata dalle acque scure del profluvio Cart. Il pub da segnare
sull’agenda è tutto un programma: The Wallace in Causeyside Street. Si
cede immediatamente ogni ormeggio davanti a una pinta di Tennent’s
(spillata a pompa non a gas, Dio li benedica) dalle venature ramate con
una schiumetta leggera pronta a svanire come un piccolo prodigio.
L’esterno è di un blu anticato, dentro elegante, arioso, con il bancone
in legno, le luci smorzate, i tavolini quadrati, e divanetti imbottiti
con la seduta in pelle fissata da chiodi d’ottone dalla testa
semisferica. Non ci sono i vetri istoriati, e qualcos’altro di troppo
moderno si nota, ma alla fine sono peccati veniali e comunque basta non
farci caso. La tappezzeria rende tributo (e vorrei vedere il
contrario...) al tessuto storico del toponimo: “Paisley”. Si tratta di
una stoffa dal disegno orientaleggiante che rappresenta il germoglio
della palma da dattero. Il decadentismo del XIX secolo se ne innamorò
follemente regalando notorietà e lavoro alle industrie tessili della
zona. Bevete la birra appoggiando delicatamente il bicchiere alle labbra
come per un tenero bacio, citando maldestramente il bardo. In fondo se
si vuole conoscere il Saint Mirren è obbligatorio ricercare residui del
vecchio Love Street. Nessun Indiana Jones, trattasi di una banale tappa
di raccoglimento obbligata a ricordo del terreno che ha benedetto le
gesta dei “buddies” per 115 lunghi anni. Curioso magari sapere che Jim
Morrison scrisse una canzone con questo titolo nel 1968 proprio quando
il Saint Mirren vinse il campionato di seconda divisione trascinato
dalle reti di Peter Kane. Nel 2007 (affaruccio) la terra fu venduta alla
Tesco per la creazione di un supermercato e con i proventi il St.
Mirren si è rifatto l’abito costruendosi un nuovo impianto qualche
miglia più a ovest. Scivolando nell’aneddoto possiamo garantire che la
maglia d’esordio del club presentava tonalità blu- scarlatto, finché nel
1883 si passò alle strisce bianconere, dapprima orizzontali, in seguito
verticali. Ecco, se non ci sono dubbi sull’ anno del mutamento
cromatico, resta una disputa sul motivo della modifica. Una teoria
sostiene che le strisce rappresentino l’unione dei fiumiciattoli che
attraversano l’abitato, il “White Cart” e il “Black Cart”. Negli ultimi
anni, tuttavia, si è fatta strada l’ipotesi monastica legata all’abbazia
cluniacense eretta a due passi dai corsi d’acqua. Infatti l’abito
talare dell’ordine reca esattamente questa tinta. Ma andiamo al 1987
attraverso una specie di grandangolo privilegiato dove si vede, seppure
immancabilmente sfocato dal tubo catodico del periodo, il St. Mirren di
Alex Smith, occhi a fessura e sorrisetto malinconico, nato a Cowie, un
villaggio annerito di minatori, altrettanto anneriti, nei pressi di
Stirling. Nel dicembre del 1986, a stagione in corso, approda quindi a
Love Street. Sembrava una stagione da consegnare agli annuali senza
niente di speciale da segnalare. Le notizie più importanti che
caratterizzavano le discussioni nei pub di Paisley erano sostanzialmente
due, anzi tre. Il governo di Margaret Thatcher che annunciava la
famigerata poll tax, la curiosità per l’arrivo di Smith, infine i 3
cartellini rossi rimediati da Billy Abercromby in una partita di
campionato con il Motherwell che gli valsero ben 12 giornate di
squalifica. Episodio disdicevole per un giocatore che in pratica ha
regalato tutta la sua carriera a questo club ma evidentemente tenutario
di qualche piccolo problemino caratteriale se si considera che negli
anni successivi sarà purtroppo coinvolto in pesanti problemi di
alcolismo. Alex Smith ebbe la capacità di leggere dentro la testa del
ragazzo e di riportarlo alla tranquillità. Abercromby era un
centrocampista nerboruto dal baffetto accennato che in virtù dei
regolamenti delle carte federali avrebbe potuto essere schierato in
coppa e la cosa ripagò le attenzioni del manager con prestazioni di
ottimo livello. Occorre spendere qualche altro nome per far girare
meglio il Juke Box di quei Saints al ritmo di: “The Buddies Came Roaring
Back”: Kenny McDowall, Paul Chalmers, Peter Godfrey (centrocampista con
una vaga assomiglianza con l’attore Peter Sellers), il già citato,
“ossigenatissimo”, Ian Ferguson, e Frank McGarvey. La storia di McGarvey
va appuntata al cancello di Love Street. I suoi ricci ribelli, il suo
dispotico destro, avevano incominciato qui la carriera prima che un
altro Paisley, nel 1979, vale a dire Bob, l’allenatore del Liverpool si
infatuerà del ragazzo portandolo ad Anfield per 270000 sterline. Al
Liverpool però McGarvey non troverà il giusto spazio in mezzo a tanti,
troppi campioni e dopo dieci mesi stagnanti sulla Mersey tornerà in
Scozia al Celtic. Cinque anni a Parkhead e 78 sigilli, poi nel 1985
rieccolo là dove tutto era iniziato. Billy Abercrombie fu il capitano
che accompagnò in campo i ragazzi di Alex Smith il 16 maggio 1987
all’Hampden Park di fronte a 51782 spettatori. Maglia bianca con
impercettibili striscioline nere e sponsor rosseggiante della ditta
“Clydeside”. L’incontro si trascinò abbastanza scarno di emozioni fino
ai supplementari. E in quella mezzoretta di passione, mentre sulla BBC2 i
Simple Minds cantavano in diretta “Live in the City of Light”
guadagnando la vetta della hit parade, Ferguson sparerà un bolide su cui
il portiere del Dundee United Billy Thompson onestamente non potette
opporsi. St. Mirren 1- Dundee United 0. E’ tempo di riprovarci.
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