mercoledì 8 ottobre 2025

LA MIA SIENA E QUELLA ROBUR

 


Ogni tanto mi piace veder rispuntare delle foto del primo Siena di cui ho una chiara percezione e un nitido ricordo; per i puristi si dovrebbe dire della “Robur” quella che conobbe il suo stadio attuale negli anni Venti come successe a tante altre società italiane. Quella Siena era bellissima, la Siena che aveva appena visto tornare a vincere Aceto e vide l'ultima grande nevicata. Una città che se ci arrivavi in Treno ti potevi affacciare su Piazzale Rosselli, che all’epoca non assomigliava neanche all’esterno di una stazione ferroviaria, era quasi un luogo intimo, direi persino appartato: una grande aiuola nel mezzo e un'amena collinetta di fronte. Di come l’hanno ridotta oggi sarebbe meglio non farne parola, una disarmonia, rabbuiata e addobbata al profilo del solito cementizio profitto universale. Sulle strade spadroneggiava il “Tramme”, c’era ancora qualcuno di quelli color ramarro degli anni Settanta ma ormai avevano già lasciato spazio a quelli arancioni più moderni e senza marce. La Piazza del Campo di allora, cuore storico di Siena e dei Senesi, folle destino d'ogni Palio, con i suoi ristoranti, i suoi caffè e le tante botteghe “normali” tutt'intorno: dalle scarpe del Mori a quelle del Mezzetti a “Otellino” (in via Duprè) che stava sempre elegantissimo sull’uscio ad aspettare e salutare i clienti, alle mercerie, agli abiti rinomati del Cortecci, gli articoli per la casa, la profumeria del Cubattoli, i giocattoli del Faldoni… boh, insomma, a me sembrava una città molto più accogliente, direi senza dubbio più inclusiva, rispetto a quella attuale, organizzata solamente a misura di turista, zeppa di ristoranti, pizzerie, street food, robe etniche, cinesi, bar senza il gusto della battuta o negozi dei soliti prodotti locali. Ma scherziamo, noi avevamo “La Ghiaccera” col biliardo, la Sala Giochi, il Pulcino e se dovevo farmi i capelli (e due risate sul Bruco che pareva non ci fossero santi o madonne tornasse a vincere) andavo di corsa da Roberto (Ciotolino) in Via dei Rossi sempre che non fosse in Agenzia Ippica a giocare un piazzato a Capannelle. Sostare in Piazza a metà anni Ottanta, significava immergersi nella Siena reale; oggi paradossalmente significa restarne fuori, in una sorta di area protetta tipo Oasi per specie in via di estinzione. Di grandi Supermercati in centro l’unico era l’Upim in Piazza Matteotti detta anche familiarmente Piazza della Posta dove io sono nato alla Clinica Rugani di fronte alla “Favorita” del Nannini. C’erano un sacco di librerie, tutte mete personalmente rovistate da capo a fondo come farebbe un archeologo dentro un cunicolo appena scoperto. Qualcuna addirittura alternativa, io andavo spesso alla “Bassi” rimasta nell’anima tipo un pianto celato e cambiando di netto prodotto viene il nodo alla gola se si ripensa alla mitica “Casa della gomma” in Banchi di Sotto, a Linda e alla sua edicola "lillipuziana" in mezzo al Corso; Oh, attenzione ai teatri (quanto ci manca il Vernacolo Clebbe e Tambus...) e i Cinema, tanti da sembrar d’essere a New York: il “Metropolitan”, il “Moderno” e il piccolo ”Odeon” allocati praticamente dirimpetto tra il Corso e Piazza Tolomei. Fuori Porta Camollia “l’Impero” e naturalmente, cosa vuoi, per assecondare i pruriti dei più giovani o dei militari (con il biglietto ridotto o gratuito) necessitava il "Fiamma" su al Ponte di Romana, senza scordarci del "Pendola" e del "Cineforum" in Piazza dell’Abbadia, sicuramente ambienti adatti ai cultori di pellicole un pochino meno popolari se non da dibattito, alla stregua fantozziana del professor Guidobaldo Maria Riccardelli. Se per caso cercavi l’ultima novità musicale avevi l’imbarazzo della scelta, io per esempio andavo dal “Corsini” dove lavorava la mamma del mio amico Riccardo e qualche cassetta riuscivo a registrarla sottobanco. Colpiva la cura del verde pubblico, i fiori della Lizza, merito dei “potini” del Comune andati, chissà perché, in disuso. C’erano in giro per le lastre i personaggi, tanti, Sello, Spago, il Diabolico, Annina e "aivoglia" quanti altri; c'era il campino di San Prospero e c'erano le Contrade, quelle vere o quantomeno meno contaminate. Si contemplava il concetto di autentico, la spontaneità. E c’era, appunto, il Siena laggiù nella conca del Rastrello, nel bel mezzo della città, incassato fra la Fortezza e San Domenico, uno stadio pulito, minimale, ristretto come il caffè, con la pista d’atletica, una tribuna coperta e una scoperta, la cosiddetta Gradinata, poi arrivò un empirica curva in cemento a mezzaluna, giusto sotto l’enorme Hotel “Jolly” (dove nell'immediato dopoguerra, a lettere cubitali, il Panforte Parenti ci piazzava la sua pubblicità) da cui inizialmente prenderà il nome e dopo né arrivò un’altra, eretta nel decennio successivo, nel lato opposto, nel punto in cui fletteva soltanto un emiciclo erboso e scivoloso e infatti i biglietti per questo settore, acquistabili nel casottino accanto all’enorme statua bronzea di Santa Caterina (uscita dalle celebri Fonderie Marinelli di Firenze), portavano la dicitura “Prato”, difatti, accennavo, risultava leggermente scomodo perché d’inverno, in genere, ti toccava stare in piedi sull’asfalto del parcheggio adiacente, cosa comunque per certi versi "ganza" in quanto assomigliava molto a una stand dello Stamford Bridge del Chelsea prima dell’arrivo dei soldoni russi, ma in fondo vedersi la partita lì costava poco, una bazzecola, e poteva andar bene lo stesso, lontani dal chiasso tambureggiante e affumicato degli Ultras Fighters e dal calendario di Barbanera rivisto in accidenti dai "Fedelissimi", misto di gioventù e gente più stempiata e canuta. Come dimenticarsi del “Murellino” luogo di ritrovo per i tifosi storici accanto alla Tribuna coperta alla cui uscita non c’era mai troppa polizia a scortare i calciatori che in genere tornavano a casa abbracciati alle fidanzate. Insomma, fu dentro quel semplicissimo impianto, che ebbi modo di vedere le prime partite di calcio. La Robur del 1984/85 la guidava in panchina Ferruccio Mazzola un tipo un pò malinconico, nato a Torino, quando il fratello Sandro aveva tre anni e il padre era un simbolo con indosso la maglia granata. Una bomba rischiò subito di porre fine alla sua vita poichè nacque sotto i bombardamenti e forse gli fu subito chiaro che per lui sarebbe stata dura. La separazione dei genitori, una grave malattia, la felicità ritrovata. Accanto a lui in quel campionato di Serie C2 il Siena del Presidente Danilo Nannini, vantava Primo Luigi Galasi allenatore in seconda e Alessandro Fiorini allenatore dei portieri ai quali non faceva mancare i "berci" negli orecchi. Durante la settimana si allenavano un paio di volte sul campo sportivo di Sovicille e spesso diventava un appuntamento imperdibile nei pomeriggi dopo la scuola. Una bella squadra da "Buon Governo" che cuciva un calcio di qualità con giocatori di rispetto, dal portiere Mario Ielpo, al bomber palermitano Santino Nuccio ma anche Paolo Stringara e Fabio Calcaterra (prossimo a passare alla Lazio), Pietro Ghedin e Claudio Desolati a fine carriera e un giovane scalpitante centravanti, Andrea Pistella da Rapolano Terme che risolse una delicata partita contro il Derthona per poi dare un dispiacere allo stesso Siena quando tre anni dopo, vestendo la casacca giallorossa del Poggibonsi, pur non andando a segno mise lo zampino in tutte le reti, paventatosi inafferrabile “Fantomas” per i bianconeri di Mazzola, umiliati con un secco 3-0 nel derby tornato dopo diversi anni d’assenza. Nostalgia Canaglia cantavano Albano e Romina, eh già, eravamo giusto in quegli anni.

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