sabato 18 ottobre 2025

TANGO AMARANTO




Vi ricordate le riprese televisive durante la finale del Mondiale 1982 fra Italia e Germania Ovest a Madrid? Beh, se aguzzate lo sguardo appare ogni tanto uno striscione appeso alle tribune del Santiago Bernabeu con la scritta Pieve al Toppo. Ecco, lo avevano ricavato dei tifosi dell’Arezzo, non solo entusiasti di essere lì per sperare di assistere al trionfo degli azzurri di Bearzot ma anche già felici di ritrovarsi nella stagione a venire la loro squadra locale in una serie B dai grandi nomi    e dai grandi palcoscenici. L’Arezzo sarebbe sceso in campo a San Siro, all’Olimpico e al Dall'Ara per incrociare il Milan, la Lazio e il Bologna, tutte realtà scudettate e non solo. Insomma, a posteriori  fu una doppia, enorme, soddisfazione. E magari qualcuna di quelle persone più giovani le avrò pure incontrate qualche volta andando a ballare al mitico Tartana, la discoteca accanto alla piscina, un locale poliedrico nel quale trovava posto sia l'adoloscente che il genitore, per la molteplicità delle sale, da quella dedicata al liscio, al valzer, al Tango alla pura Discomusic condita ogni tanto anche da alcuni artisti tipo la Steve Rogers Band con la famosa "Alzati la gonna" fra balli e sballiEppure, Arezzo a guardarla arrivando dalla Superstrada (che poi di "Super" queste strade non ho mai capito cosa hanno) sembra quasi nascondersi nel gargarozzo della Toscana. “Basterebbe Arezzo alla gloria d’Italia” è la citazione di Giosuè Carducci, per un'autentica "città del silenzio" che enuncia il suo dialetto in una sorta di etrusco paludato dell’alto Tevere, un “cuscinetto” di peculiarità fonetiche e lessicali, si direbbe una lingua di transizione, che lo distingue dagli altri dialetti regionali addirittura dotandosi di venature corrotte da un curioso francesismo dovuto a vicissitudini storiche. L'altissimo campanile del Duomo a sezione esagonale, spunta dietro pallidi campi verdi di ulivi e, sempre viste in lontananza, appaiono case bianche con i tetti di color ruggine coperti in autunno da una nebbia assonnata, densa come lo zucchero filato, che piano piano scende, cedendo ai raggi luminosi del sole. Città di Giostra e fieramente ghibellina, con quel cavallino nero rampante e intrepido a fargli da stemma tutelare. Arezzo delle botteghe laboriose dove pare non sia abbia troppo tempo per guardarsi intorno e compiacersi; Arezzo con le cartoline color miele esposte fuori dai negozi. Nella Piazza Grande pendente, da secoli sta, un po’ inclinato come la piazza stessa, un pozzo di pietra, oggi un luogo d’incontro e sfondo per le foto di rito dei turisti. Palazzi scaleni, altezze diverse, edifici robusti sembrano affondare in un morbido lastrico e le stradine del centro, un po’ come i ponti veneziani, salgono e scendono e passeggiando lungo di esse si scopre non solo quello che si trova dietro un angolo ma anche dietro una salita. Fu un peccato sporcare quella maglia con uno sponsor. Parlo dell’Arezzo che vinse la Coppa Italia “semiprof” del 1981 battendo in finale la Ternana, aveva una divisa meravigliosa, completamente amaranto raschiata da tre leggerissimi corridoi bianchi sul cui lato destro con estrema cura e precisone venne cucita la coccarda tricolore del suddetto successo. Ma il calcio frastornato dal processo giudiziario sulle scommesse clandestine stava cambiando pelle e l’apertura alle sponsorizzazioni avrebbe significato entrate fresche, soldi importanti in qualunque categoria dalla Serie A alla terza categoria. L’Arezzo dell'indimenticato presidente Narciso Terziani strinse un accordo con il molino/pastificio "Ponte", sponda destra del Tevere in quel di Ponte San Giovanni, quartiere Pratovecchio provincia di Perugia che in quei primi anni Ottanta aveva raggiunto una notevole fama a livello nazionale. Nato nel 1938, quindici anni dopo la fondazione dell'Arezzo, Terziani da Pieve a Maiano era diventato un imprenditore di successo nel comparto orafo, un "omone" dal carattere forte e dall’animo buono con la passione del calcio, tanto che nell’aprile 1979, quando se ne presentò l’occasione, acquistò l’Arezzo dopo la gestione Geppetti e per prima cosa pagò gli stipendi arretrati ai giocatori, rimettendo in sesto i bilanci societari, che in quel periodo avevano avuto notevoli problemi, instillando inevitabilmente una ventata di entusiasmo ed ambizione. Si capì immediatamente che le cose sarebbero cambiate a breve, c’era, d’altro canto, la volontà di riconquistare la serie cadetta perduta sette anni prima e per farlo coinvolse anche altri imprenditori locali; già nella stagione 79/80, sotto la guida di Pierino Cucchi, fece diversi investimenti portando (e riportando) in amaranto giocatori importanti da Adriano Malisan il biondo numero 10 dalla vaga somiglianza al tedesco Bernd Schuster ed il figliol prodigo Menchino Neri, baffuto centrocampista dai piedi buoni. La squadra disputò una stagione positiva conclusa al sesto posto del girone. Poi nella stagione 1980/81 Terziani decise di dare la svolta tanto attesa e così, dapprima esonerò Cucchi, che non era mai riuscito a legare troppo con lo spogliatoio e fece sedere in panchina l’ex interista Antonio Valentin Angelillo che vincerà quella Coppa Italia di C, primo trofeo di sempre della storia amaranto e, nella stagione successiva, guidò l’Arezzo nella grande cavalcata verso la serie B. Era l’Arezzo dello stadio Comunale imballato da 15000 tifosi entusiasti assiepati nella gradinate sotto la lunga teoria pubblicitaria della Lebole, l’azienda di Castiglion Fibocchi all’epoca grande marchio dell’abbigliamento. Un sogno cucito con i sacrifici. E il colosso della moda era nato proprio dalle mani e dalla mente di una donna aretina, Caterina Bianchi, cui si deve l’intuizione di trasformare il commercio di stoffe e tessuti dei genitori in laboratorio sartoriale capace di intercettare i bisogni di “un'Italia affamata di nuovo”, come diceva lei. L’avvento sulla panchina di Angelillo alla guida degli amaranto significherà passione sfrenata. Un amore di quelli coinvolgenti, in grado di non farti pensare ad altro ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette. La squadra giocava un calcio pratico, soprattutto aveva la capacità di cercarsi, di trovarsi a  memoria, con una diga difensiva che partiva da Pino Pellicanò fra i pali, gestita splendidamente da un leader carismatico come Giuseppe Zandonà che riusciva ad esaltare e dare tranquillità a tutto il reparto, da Emilio Doveri ad Alessandro Zanin, con un centrocampo dove alle geometrie del già citato Malisan si sommavano le corse di Andrea Mangoni, l’estro di Giovanni Botteghi e Menichino Neri oltre a un attacco prolifico composto da Mauro Vittiglio che svolgeva il cosiddetto lavoro sporco e dal bomber implacabile, Tullio Gritti finalizzatore con abilità spesso sorprendenti. Gli aretini, presero a chiamarlo "Tullio Volante". Gritti, milanese amattisimo, fu davvero epicentro di un terremoto di passioni, un centravanti aggressivo d'indole e rapace dell’area di rigore, attaccava ogni pallone esaltandosi nel gioco aereo nonostante non fosse particolarmente alto ma aveva buon tempismo il che lo rendeva pericoloso nei colpi di testa. Grazie alle sue doti Gritti divenne pedina ideale per il gioco di Angelillo che cercava sempre di metterlo in condizione di calciare in porta talvolta da perfetto circense, in acrobazia, tanto che ancora oggi a distanza di oltre quarant'anni Tullio Gritti rappresenta sicuramente il centravanti più forte nella storia del club e il suo trasferimento al Brescia mosse più di un mugugno. Ad ogni modo quel campionato filò liscio per la sua gran parte, la squadra resterà salda in testa alla classifica, vittorie in casa e pareggi in trasferta almeno durante il girone di andata, in perfetta media inglese come si usava dire allora. Certo nel ritorno qualche pari di troppo parve mettere un pochino di sale alla coda del torneo ma poi gli ultimi tre successi consecutivi sistemarono la pratica e assegnando il primo posto finale agli amaranto. Il degno epilogo di una stagione da evidenziatore si ebbe l’ultima e "intima" domenica di maggio in una Arezzo dal cielo terso e dai gerani sui balconi. La settimana precedente la squadra aveva espugnato Latina per 2-0 scortata da 64 pullman di sostenitori, si avete capito bene 64, e al Comunale (oh, ancora senza curva sud) la gente poté programmare la festa. La Paganese, arrivata ad Arezzo già salva e tranquilla della permanenza in cadetteria, si prestò docilmente al ruolo di sparring partner: 4-1.

 






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