Molta passione, un pò di polizia, implacabile cemento, nessuno striscione o fumogeno, prezzi popolari. Lento ma inesorabile il football, o Fußball, tornò a stendere la sua ragnatela sulla Germania del dopoguerra. E non c'era
cortina che tenesse, il calcio in fondo è come il vento e non poteva avere confini. Diciassette
volte si sono scontrate nelle coppe europee squadre della Germania Ovest e della
Germania Est, la regione del blocco comunista, segreta per molti aspetti. La guerra
dei trent’anni fu rovinosa per la Germania: urla, mortai e spingarde venivano
uditi da un capo all'altro del paese. Poi è toccato al Bismark a Guglielmo
e a un imbianchino austriaco divenuto cancelliere a Berlino ergersi o affossarsi. Cosa avranno mai da lamentarsi, disse una volta Goethe rivolto ai suoi connazionali. "Hanno me". Finalmente
furono i goal o “tor” a diventare protagonisti. Se accantoniamo la rete di
Sparwarsser ad Amburgo durante i campionati del mondo 1974 su cui si è sparso
persino troppo inchiostro, andrebbero ricordate le rudi e capricciose partite
fra cugini. La Germania Est del calcio è un autentico labirinti di nomi ripudiati o ripensati, corporazioni di lavoratori, stadi bui e foto
Werra, la storica “Volkskamera” che oltrepassò il muro. Insomma una sorta di tortuoso gioco dell'oca che porta per esempio a Jena tra
dolci ondulazioni e patetiche casette dal tetto aguzzo che, qualcuno disse, compensavano
il fatto di dover sentire autisti che spiegavano le contraddizioni del sistema
capitalistico e la necessità che nella DDR stazionino reparti militari
sovietici. A Jena, città famosa per essere stata teatro di un’importantissima
battaglia tra l’esercito napoleonico e quello prussiano, giocava Il Fußballclub
Carl Zeiss, nato nel 1903 da un’idea di alcuni operai dell’omonima azienda di
ottica e strumenti di precisione. Nel 1977 la squadra arriverà fino ai quarti
di finale della Coppa UEFA e l’anno successivo al primo turno nell’urna di Zurigo
ecco apparire l’ incrocio con l’MSV Duisburg. Allo Ernst-Abbe-Sportfeld Stadion i prezzi
dei biglietti venivano segnati su dei botteghini di legno che facevano tanta
tenerezza. Ed erano prezzi da stropicciarsi gli occhi, mettere mano alla matita
e controllare sulla carta. Nelle rare immagini di repertorio si può leggere e
tradurre: posti in piedi marchi 1,10; posti seduti marchi 2,10. Dato che il
cambio ufficiale all’epoca era di 240 lire per ogni marco, ne conseguiva che i tagliandi
per questo derby fra tedeschi confinanti costerebbero oggi rispettivamente 1
euro e 32 centesimi e 2 euro e 50 centesimi. Cioè, nulla. In totale per la gara
di andata furono in 15 mila, niente stendardi o striscioni per non ingenerare
equivoci, essendo questi prettamente riservati alle manifestazioni politiche. La
tecnologia del tifo, nonostante la formidabile “produktivitat” tedesca escludeva i petardi (probabilmente per motivi militari). Lo stadio quasi mistico, con un unica minuscola tribuna coperte impregnata di socialismo reale, rumorose "signalhorn" (trombette) con pubblico a quattro metri dalle linee
bianche, pochi poliziotti in vista (solo qualche cane lupo tenuto al guinzaglio
per casi di emergenza), i pali ancora quadrati e di legno, le
panchine degli allenatori dietro una porta e non a centrocampo, i giocatori che
entrano passando in mezzo alla gente e qualche clandestino arrampicato sui
pioppi tutt'attorno, al fresco di un autunno precoce. Maglia gialla su pantaloncini
blu priva (ci mancherebbe) di sponsor per il Carl Zeiss e strisce orizzontali biancoblù per il Duisburg marchiate (per prassi) nell'occasione solo dalla dicitura societaria MSV ma in Bundesliga dalla ditta di birra Diebels Alt. Ora
ci sarebbe uno stereotipo sui taluni tedeschi dell'Est. Dall’altra parte
dicevano che erano pigri, ovviamente non era vero, sarà stato piuttosto che il
dialetto sassone non mai avuto una buona reputazione al di fuori della sua regione;
eppure, a ben vedere il sassone è l’unica lingua appartenente alla sfera basso
tedesca ad avere dignità letteraria. "Il problema che i cittadini occidentali
hanno con il nostro dialetto è assurdo" - disse il tecnico del Carl Zeiss Jena
Hans Meyer, nativo di Briesen, un paesotto che pareva uscito dalla fantasia dei
fratelli Grimm. "La Germania ha così tanti dialetti diversi: perché
quelli dell'Est devono sempre essere ridicolizzati? Questo dimostra solo chi ha
la mentalità più ristretta". La partita si chiuse a reti inviolate, il
Duisburg resistette abilmente anche se i Turingi dettero vita a un vero e
proprio spettacolo pirotecnico di conclusioni sprecate. Trascinati da Lutz Lindemann e Gert Brauer, assediarono
la porta degli ospiti, sfruttando ogni occasione per impallinare l'agile
portiere ospite Gerhard Heinze, alto 1,76 conosciuto a Duisburg come il
"Flieger" (pilota). Il momento più memorabile fu al 22esimo minuto della prima frazione quando Thomas Töpfer,
smarcato nell'area di rigore calcerà a lato mangiandosi una rete apparsa già
fatta. "I nostri giovani attaccanti non sono ancora in grado di rompere
gli schemi spiegò un corrucciato Meyer. La prestazione del MSV si è basata sul motto:
"Il fine giustifica i mezzi". Puntavano al pareggio. Il tecnico del
MSV Rolf Schafstall dirà: "Abbiamo difeso con disciplina e abbiamo
raggiunto il nostro obiettivo. Adesso ci siamo garantiti uno stadio Wedau
pieno. Ma nulla è ancora deciso!". E infatti l’ordalia finirà al ritorno ai tempi
supplementari dove il povero Carl Zeiss uscirà di scena sotto un autentico
supplizio di goal: 3-0, Bernard Dietz, Kurt Jara, Norbert Fruck.

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