Prendete Ivano Fossati,
prendete una delle sue canzoni più belle (non è difficile, garantisco),
prendete “Questi posti davanti al mare”, ad un certo punto c’è una strofa meravigliosa che
dice “Sin da Alessandria si sente il mare”. Vuol dire tutto e non vuol dire niente;
eppure, è come un annusare il vento, il fanale della locomotiva a squarciare
le distanze, “dietro una curva improvvisamente il mare”. Va da sé che ad Alessandria, rossiccia
di tetti, di acqua ne hanno in abbondanza, eretta com’è alla confluenza di
Tanaro e Bormida. È questa umidità fluviale la rende quasi misteriosa,
sicuramente discreta, avvolta d’inverno da un telo di nebbia, soffocata dal
sole in estate. Alessandria città di ossimori, apparentemente deserta ma vigile,
schiva ma generosa. Luogo da cercare nei suoi scorci, nei suoi angoli, occorre
non avere fretta nell’osservare un portone, un cortile mai uguale all’altro, le
eleganti inferriate ai balconi, per finire poi sotto i portici di Piazza
Garibaldi o in Corso Roma, dove nei secoli si sono rincorse voci lente,
soffermate su un lamento di vicende semplici, qui in questo riflesso di
Monferrato profumato di un risotto al Barbera. Diceva Umberto Eco:
“Alessandria è una comoda poltrona, ti siedi e ti addormenti”. A non dormire
troppo nel baluginio del Novecento ormai lanciato, Amilcare Savojardo, Enrico Bardò e
Alfredo Ratti che si appuntarono al bavero della giacca il distintivo di “Forza
e Coraggio” preesistente sezione calcistica cittadina, fondando nel 1912
l’Unione Sportiva Alessandria, curata, maneggiata, rifinita definitivamente nel
1920. In quegli anni rupestri e lividi arriva a giocarci tale George Arthur
Smith, londinese di Gray's Inn Lane, portato in Italia da William Garbutt,
estetica e atteggiamenti tutti vittoriani, uno che darà slancio al talento
della cosiddetta “scuola alessandrina”, tuttavia una volta richiamato in patria
allo scoppio della Grande Guerra perirà in battaglia nel 1917 a soli 28 anni,
quando i grigi erano già grigi. Ebbene se esiste una connotazione romantica del
calcio, o almeno l’ha avuta certamente in passato, questo colore mica potrà essere derubricato in
incognito, casomai la domanda in sospeso resta quella cui forse in molti si
sono posti, ossia perché grigi, un pò come se la nebbia si fosse impossessata
oltreché dei luoghi anche degli uomini e dei campanelli. Ci arriviamo, ora breve appendice. L’Alessandria
giocherà inizialmente le sue partite al “Campo degli Orti“,
soprannominato “il pollaio” per via del massiccio utilizzo del legno nella
costruzione di spogliatoi ed empiriche tribune, un campo, narrano le cronache coeve, ostico agli
avversari a causa del fondo spesso fangoso sul quale i grigi, a quanto pare,
probabilmente abituati, si muovevano invece piuttosto agilmente. Il “Giuseppe Moccagatta” impianto dalla facciata neoclassica, oggigiorno ancora pervicacemente attanagliato da una commovente bellezza arriva
battezzato già in grembo come “Stadio del Littorio “. Siamo nel il 1929 e la datazione guarda caso coinciderà con il primo
campionato di Serie A dei grigi. Eccoci, adesso non possiamo più scappare. La prima divisa dell’Alessandria,
utilizzata per un limitato periodo successivo alla nascita, era tinta di biancazzurro a strisce
verticali; la sua adozione, secondo quanto riportato dallo studioso Antonio Fasano nel
1962, risale all’acquisto o al prestito di una dotazione di maglie usate dalla
Vigor, squadra torinese attiva già dal 1908. Questa teoria sarebbe convalidata,
oltre che dalla similarità delle divise rilevabile dal confronto tra le
immagini d’epoca e dalla presenza dello stemma di Torino su una maglietta. Queste
divise, una volta usurate, sarebbero state poi sostituite da quelle di colore
grigio donate da Giovanni Maino, patron della quarta industria ciclistica
fondata in Italia e prima a non aver sede a Milano. Nella sua squadra ciclistica vi corsero due nomi di prestigio, Giovanni Gerbi detto "il diavolo rosso" e
soprattutto Costante Girardengo; il benestare dell’imprenditore sarebbe giunto
in un’osteria cittadina forse davanti a una fumante "finanziera", dopo una richiesta informale. Più recentemente, un altro amante delle cose in grigio, Ugo Boccassi, ha ipotizzato
che queste maglie fossero state acquistate in realtà dalla Vigo & Company,
azienda tessile di Torino specializzata in forniture per giocatori di football,
e che dunque la Vigor non sia mai stata direttamente coinvolta nella scelta
delle maglie, ergo l’utilizzo del grigio sarebbe da ricollegare a cause direi
banalmente pratiche tipo il fatto che lo sporco si notava di meno rispetto a
colori come il bianco e, in ogni caso, il grigio era pur sempre il colore della
primigenia “Forza e Coraggio”. Quale sia la versione corretta poco importa,
l’Alessandria, i vecchi orsi, restano storia, seppure ossidata, negli ingranaggi del
calcio italiano e la passione dei suoi tifosi assolutamente enorme. Insieme alle
altre tre del quadrilatero piemontese: Novara, Vercelli e Casale. Una sentenza,
un
blocco granitico ed imbattibile di quel ventennio di calcio italiano. I sette
scudetti dei Bianchi, quello storico dei Nerostellati, le scuole calcistiche di Alessandria e Novara furono gocce di un grande
serbatoio di fatti e fascino che hanno contribuito a far diventare il gioco del calico lo
sport più popolare nel nostro paese. Se il pallone infatti è
sbocciato a Genova e i primi titoli si sono giocati sul terreno di Piazza
d’Armi a Torino, la prima vera affermazione italiana è avvenuta nella
provincia, attraverso queste “quattro sorelle”, storie, sorrisi, vittorie e
imprese riassunte se vogliamo in quattro maglie davvero originali. Per quanto concerne la passione
di Alessandria, a testimonianza arriva un aneddoto curioso: quando uscirà il primo
album della Panini nel 1961 ( c'erano già le Lampo ma Panini dette la sterzata decisiva) l’Alessandria era caduta definitivamente dalla Serie A nel torneo cadetto. Le
pagine di quell'album in totale erano 40, e le figurine 288 in tutto. L'album costava 30 lire, la bustina invece 10 lire e conteneva 2 figurine. La
carta delle bustine grezza e porosa, poco resistente all'acqua occorevva insomma maneggiarle con estrema attenzione. Le edicole
della città furono letteralmente prese d’assalto e persino gli stessi giocatori
facevano compostamente la fila per cercare di trovare la loro immagine impressa mentre: "Non
piove, scarnebbia, …..che zerda!" L’ultima
formazione in grigio che ha conquistato la massima divisione fu quella di
Luciano Robotti, lo fece nello spareggio contro il Brescia davanti ai 60000 spettatori di
San Siro, numeri da far impallidire una finale europea odierna, era il 23 giugno
del 1957 e l’Alessandria scese in campo con questo undici: Ideo Stefani, Aldo
Nardi, Gian Luigi Brotto, Luigi Traverso, Franco Pedroni, Lanfranco Albertelli,
Alessandro Vitali, Giorgio Tinazzi e Castaldo Ettore. Rete di Tinazzi, pareggio
dei bresciani a dieci minuti dal termine e Castaldo nei tempi supplementari
riporterà i suoi in vantaggio per garantirsi una autentica festa di popolo in Piazza
Libertà. Nomi celebri. Ragioni di spazio mi impongono di limitare le citazioni ed allora rievoco soltanto alcuni personaggi che hanni indossato questa maglia per poi imporsi ai massimi livelli. Tra i più importanti giocatori che hanno indossato la maglia grigia
del sodalizio piemontese sono ricordati ovviamente il Pallone d'oro 1969 Gianni
Rivera che qui esordirà giovanissimo e mingherlino e i campioni del mondo Luigi Bertolini, definito
uno degli uomini chiave della leggenda del quinquennio juventino e del periodo
d'oro della nazionale di Pozzo, Felice
Borel, soprannominato "Farfallino", figlio di Ernesto e fratello minore di Aldo
Giuseppe, anche loro calciatori; per distinguerlo da quest'ultimo, negli
almanacchi sarà segnalato come Borel II, Giovanni Ferrari Giovanni
Ferrari un “local boy” direbbero in Inghilterra, di ruolo mezzala fra le più
complete di ogni epoca non a caso considerato come il prototipo dell'interno
sinistro nel “Metodo”, sicuramente il calciatore
italiano più vincente, potendo vantare nel palmarès personale due Coppe del
Mondo e una Coppa Internazionale conquistate negli anni 1930 con la nazionale
di Vittorio Pozzo, più otto scudetti di cui cinque consecutivi con la Juventus.
Pietro Rava, nato a Cassine da una famiglia trasferitasi temporaneamente nel
paese dell'Alessandrino per gli impegni lavorativi del padre, funzionario delle
ferrovie cresciuto a Torino, nel quartiere Crocetta, anche lui ricordato come
uno dei principali teorici della “scuola alessandrina” descritto dal
giornalista Carlo Felice Chiesa “fisicamente prestante, forte di testa, capace
di colpire con entrambi i piedi, abile nell'anticipo, un terzino asciutto nel
gesto, spiccio nelle entrate, agile nelle incursioni offensive ma sempre con la
sbrigatività dell'interdittore di vocazione”, infine e Adolfo Baloncieri, considerato il miglior interno al pari di Giuseppe Meazza e Valentino
Mazzola, scrisse di lui Gianni Brera: “se fosse possibile una graduatoria assoluta dei grandi registi del
calcio mondiale di ogni epoca, probabilmente Adolfo Baloncieri, detto "Balon" nonostante atleta di un
tempo tanto remoto rispetto al nostro, finirebbe tra i primi in assoluto”. Ci sarebbe da menzionare la partecipazione fugace a una Mitropa
Cup eliminati dal Velez Mostar e i goal di Ciccio Marescalco negli anni ‘80. Oppure il presiente Vittorio
Fioretti, uomo di calcio con precedenti niente male a Pordenone e Venezia che
con un amico padovano, Alberto Benelle, decise di provare un’avventura
apparentemente molto rischiosa. Siamo agli ainizi degli anni ‘90 e ad
Alessandria ormai si parla solo veneto perché anche l’allenatore viene da
quelle parti. È Tato Sabadini, ottimo ex-calciatore di Serie A (Sampdoria e
Milan), ma con una modestissima esperienza in panchina visto che il suo passato
è quello di allenatore in seconda del Venezia-Mestre. La squadra della
precedente stagione viene letteralmente smantellata: i nuovi responsabili si
affidano a giocatori esperti, quasi a fine carriera, che costano poco pur di
raccogliere ancora qualcosa dal calcio. Tra il Tanaro e il Bormida arrivano
così ex pezzi da Novanta come Galparoli, Bencina, Roselli, Mazzeni, Galli, e giovani
speranzosi come Bianchet e Zanuttig o giocatori addirittura senza squadra tipo Accardi. Dopo un avvio in sordina il gruppo iniziò una cavalcata
esaltante che sbaraglierà il lotto delle dirette concorrenti e riconquistò la C1
arrivando prima. Il tabellino di sintesi a fine stagione è grandioso: quattro
sole sconfitte, 14 gol al passivo, otto partite consecutive senza subire reti,
15 vittorie di cui 5 esterne e un terzino, Giuseppe Accardi, goleador con ben 7 reti Oggi
la leggenda dei grigi rivive fra i dilettanti perché questo calcio scortica e
dimentica, stordisce e piega, l’Alessandria dopo il periodo De Masi e la
semifinale di Coppa Italia contro il Milan è precipitato. L’estate 2024 è stata
devastante, con il fallimento e la ripartenza dal campionato di Promozione. Ma
l’autunno di Alessandria, invece, ha il profumo della magia, manco fosse già
Natale. Merito del popolo grigio che, nel momento più buio, si è inventato un
sogno dandosi da fare per salvare il calcio al Moccagatta.
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