“Sto andando a Gretna Green,e se tu non riesci a indovinare
con chi, dovrò considerarti un’ingenua, perché c’è un solo
uomo al mondo che amo, e lui è un angelo.”
Chi parla è la quindicenne Lydia Bennet che progetta la fuga a Gretna Green con il Signor Wickham, trattasi di un brevissimo stralcio ripreso da “Orgoglio e pregiudizio” di Jane Austen. Il motivo è semplice: Gretna era una delle località più famose al mondo per la celebrazione di matrimoni. Tale popolarità si doveva al fatto che nel 1753 il parlamento di Londra, promulgò il Lord Hardwicke’s Marriage Act, il quale richiedeva nel caso di un matrimonio fra minori il benestare dei genitori. Ora, il dato importante era rappresentato dal fatto che questa legge era valida in Inghilterra ma non in Scozia. La notizia del cambiamento legislativo si sparse rapidamente; molte coppie di minorenni inglesi decise a unirsi in matrimonio senza approvazione familiare, fuggirono di casa all’insaputa dei genitori, e il primo villaggio incontrato nel loro cammino dopo aver superato il confine scozzese, era proprio Gretna. Beh, immagino che si potessero riconoscere facilmente: Trafelati, accorti, eppure decisi, risoluti nell’esaudire il loro sogno d’amore. Indossavano l’abito più elegante, agguantato di fretta, senza farsi vedere da occhi indiscreti. A piedi, sotto improvvisi scrosci di pioggia e repentine fiammate di sole, oppure seduti in una di quelle amene carrozze a due posti un po’ cigolanti con il postiglione burbero in cassetta, chino a incitare il passo di cavalli indolenti. Mano nella mano, accompagnati da erica e ginestre, fino al Salk Bridge, il ponte di pietra che portava alla felicità. Anzi alla bottega del fabbro. Perché a Gretna, i matrimoni non si celebravano in Chiesa di fronte a un altare addobbato ma nella semi oscurità fuligginosa di una fucina, davanti a una pesantissima incudine su cui un colpo deciso del martello avrebbe decretato l’unione perenne in uno sfolgorio di scintille. Testimone, il sorriso sdentato del vecchio fabbro col grembiule in cuoio, poi un bacio e via, ancora di corsa, prima che genitori infuriati arrivassero a rovinare l’idillio all’ultimo istante. Insomma i fabbri di Gretna erano diventati dei sacerdoti laici che forgiavano sentimenti ribelli alle bizzose volontà di etichetta. Una sorta di simbolo di libertà quell’incudine, almeno fino al 1856, quando rabbiose proteste videro un primo passo indietro con la richiesta di almeno ventuno giorni di soggiorno nel paese prima delle nozze. Una norma modificata un secolo dopo e quindi definitivamente abrogata tuttavia solo, udite-udite nel 1977. In ogni caso l’incudine non poteva essere accantonata, non doveva tornare a essere un semplice strumento di lavoro. Se la pignoleria delle istituzioni eviterà di associarla con il matrimonio, a Gretna si decise di associarla a un altro tipo di unione, a un altro genere di sodalizio. Quello calcistico. Il colpo di martello reca la data 1946. La guerra era finita e il villaggio sulla collina di sabbia, aveva tutto il diritto di fondare una sua rappresentativa sportiva. I giovani di ritorno dalle macerie d’Europa non perderanno troppo tempo. Nascerà il Gretna Football Club, e il suo emblema sarà proprio un’incudine coronata da un ferro di cavallo, accarezzata dai cardi scozzesi e sormontata dal Salk Bridge. L’organigramma societario del Gretna nel 1946, è quasi un affare di famiglia. Padre e figlio. I signori Kinnelly senior e junior, assumeranno il ruolo di presidente e vicepresidente con la consulenza tecnica di Jock Kerr, un ex giocatore professionista del Queen of The South. A dare man forte in campo, il capitano Billy Cross, detentore di un record invidiabile fatto di 50 partite senza onta di sconfitta. Con lui gli attaccanti, Dennis “Touchy” Smith e Tommy McFarlanell, due tipini tenaci capaci di mettere a segno oltre cento reti nella loro prima stagione insieme. Fin qui scorre tutto, ma ancora non ho detto dove giocava questa squadra. In Scozia direte voi… solo per un attimo aggiungo io. Partiamo da un concetto. Nei “Borders“, la frontiera non è mai stata una semplice traccia su una mappa geografica. Occorre interrogarsi sul senso da dare alla parola “Unito” nella locuzione “Regno Unito”. È una questione complicata, difficile da gestire. Dopotutto non è trascorsa un’eternità da quando soprattutto in questo lembo di Scozia si facevano saltare in aria le cassette della posta fabbricate in Inghilterra e marcate Elisabetta II. Con un libro di storia in mano e un candelotto nell’altra, gli scozzesi facevano notare (se vogliamo con una discreta logica), che l’Elisabetta originaria non era la sovrana del Regno Unito ma solo dell’Inghilterra. Il ragionamento in un certo senso fila. Se la presente regina è Elisabetta II, deve essere anzi tutto Elisabetta I di Scozia, e conseguentemente del Regno Unito. L’intoppo politico-geografico si dipanerà rapidamente senza troppe polemiche. Il Gretna, dopo un breve periodo nella Dumfries & District Junior League, si sposterà nella federazione inglese. Esattamente nella Carlisle & Distict League. Da quel momento passeranno anni sotto il confine, ma è sempre stato chiaro che il cuore del club batteva per ambire al ritorno nel calcio scozzese. Ci furono due richieste ufficiali in questo senso datate 1993 e 1999. Non solo. Per contribuire a rafforzare la loro partecipazione ai campionati battenti croce di Sant’Andrea, giocarono una partita di beneficenza contro i Glasgow Rangers, al fine di raccogliere fondi per le vittime del disastro aereo di Lockerbie. E il Gretna si prese anche la soddisfazione di vincere il match per 2-1. Per il momento però l’adesione dei “Weddingmakers“ alla SFA, non venne accettata. Bisognerà attendere il 2002 con l’arrivo a Gretna di un personaggio straordinario che si prenderà in grembo la squadra, e da lì, il villaggio inizierà a sognare. Si chiamava Brooks Mileson, personaggio fra il burlone e il romanzesco. A trent’anni in sostanza era un simpatico barbone con il cagnolino e la fisarmonica, poi riuscì a infilare la strada giusta e in breve tempo arrivò a diventare un ricco imprenditore che pensò bene di trasferirsi nel sud della Scozia. La sua vicenda andrebbe raccontata nei corsi di formazione e motivazione professionali. Il suo motto, la sua filosofia di vita: “Vivi come se fosse l’ultimo giorno, pensa come se dovessi vivere in eterno.” Brooks, volto ascetico, moderno profeta del deserto, i jeans scoloriti e i capelli lunghi ingrigiti raccolti dietro le spalle. A pensarci bene, ogni suo giorno a Gretna era un dono di Dio. Aveva alle spalle due infarti e una maldestra caduta avvenuta quando era poco più di un bambino, lo avevano costretto a gravi problematiche fisiche. In tasca non gli mancavano mai almeno due o tre pacchetti di sigarette, beveva Lucozade e nella sua tenuta si era circondato di animali esotici. Inoltre, correva dietro alla sua squadra, perché il club di Raydale Park in concomitanza con il fallimento dell’Airdrieonions aveva finalmente fatto ingresso sulle scene calcistiche scozzesi. All’inizio qualche dubbio serpeggiava fra i sostenitori. Non tutti avevano capito le reali intenzioni di questo colorito ed eccentrico signore. Ma al di là dalla cospicua somma di sterline versata nelle casse del club, ben presto il velo di diffidenza si squarciò lasciando trasparire l’assoluta buona fede di Mileson. Dava felicemente una mano in biglietteria, scambiava battute con i suoi dipendenti, di tanto in tanto passava l’aspirapolvere sotto i piedi dei giocatori, organizzava incontri con le scuole locali e gruppi comunitari. Un autentico cristiano forgiato d’indole da Salvatore, che spesso cercava di comunicare l’importanza della fede, e tracciare lo scopo della sua missione a Gretna. Non vorrà mai un posto d’onore nel piccolo Raydale Park: “Io non sono interessato a indossare abiti sgargianti e cravatte eleganti, seduto in comode tribune, io sono un fan, prima di tutto, e questo è il motivo per cui mi siedo in mezzo ai tifosi e condivido con loro il piacere e il dolore.” Il Gretna strinse legami con più di cento scuole in Gran Bretagna, e saranno gli unici che non faranno pagare gli istituti per fornire loro lo staff tecnico professionale. Nel primo anno di Mileson al Gretna, a vedere i ragazzi allenati da Rowan Alexander per lo storico esordio in terza divisione contro il Morton erano in 2700, all’incirca il numero degli abitanti del paese. Un attaccamento e una fiducia, che saranno subito ricompensati sul campo, dal goal di Matt Henney dopo appena quattordici secondi dal fischio d’inizio. La partita sarebbe poi finita 1 a 1, ma negli occhi e nei cuori dei sostenitori bianconeri, vi era solo la festa per il tanto sospirato “ritorno a casa”. La parabola è incredibile. Nel giro di tre stagioni il Gretna vincerà tutti i campionati arrivando in Premier League, e sfiorando il successo nella finale di Coppa di Scozia del 2006. Roba da Kilnockie, roba da “A Shot at Glory”, ma questa non fu una pellicola cinematografica, questa fu pura realtà. Fiabesca, romantica, quasi assurda. I nomi dei protagonisti apparterranno di diritto in primo luogo alla storia del club, indirettamente a tutto il mondo del pallone che ha un debito con loro, per le emozioni regalate in quegli anni magici. Dicevamo di Rowan Alexander, il manager nato ad Ayr nel 1961. In carriera aveva giocato con il St. Mirren, il Brentford, il Morton, il Queen of the South e anche nello stesso Gretna come calciatore allenatore. Nel 2005 si accomoderà sulla panchina di Raydale Park a tempo pieno, vincendo la terza divisione con un record di 98 punti. Parole e musica dell’attaccante Kenny Deuchar che a fine stagione realizzerà qualcosa come 41 centri. L’anno seguente, il Gretna si assicurò il secondo titolo consecutivo ottenendo la promozione più veloce nella storia di questa categoria terminando il torneo con ben diciotto lunghezze di vantaggio sul Greenock Morton. E già qui potrebbe essere sufficiente. E invece no, il villaggio volle di più, volle stupire ancora, e la sua marcia verso la finale di Coppa di Scozia targata 2005/06, varrebbe da sola un racconto. Nei primi due turni rifilerà la bellezza di sei reti a testa, prima al Preston Athletic fuori casa, e poi fra le mura amiche al malcapitato Cove Rangers. Il terzo turno proporrà un ostacolo assai più arduo chiamato St. Johnstone. Eppure al McDiarmid Park, in una grigia serata di gennaio, un ragazzo di Kircaldy che all’anagrafe faceva Steven William Tosh, trovò il modo di infilare la porta dei Saints portando a sorpresa il Gretna nel quarto turno della competizione. In quello che sarà l’interregno di James Grady, che dopo lo scialbo 0-0 esterno, farà impazzire di sconforto il Clyde, e di gioia il pubblico del Raydale, con una tripletta corredata dalla solita immancabile stoccata di Deuchar per il 4-0 conclusivo. Nei quarti di finale le case di Gretna sono vuote. Le presenze ufficiali per la gara contro il St. Mirren parlano di 2850 spettatori. Pensate al silenzio del paese, a qualche mugolio di cane, al ticchettio di un vecchio orologio a muro, alle strade deserte battute solo dai brividi freddi che arrivano dalla foce del fiume Esk. E di contrappunto, improvviso, l’urlo che squarcia la quiete fatta d’attesa. A dodici minuti dal termine Kenny Deuchar batte l’estremo difensore avversario Tony Bullock, portando il villaggio a Hampden per le semifinali. Nel sorteggio, il Gretna evitò le due di Edimburgo e fu accoppiato al Dundee FC. Commentare quello che accadde sul campo da un punto di vista puramente tecnico non renderebbe la giusta grazia ai ragazzi di Rowan Alexander. Ci sono partite legate a immagini e fotogrammi che rimangono scolpiti nella memoria meglio di qualunque cronaca sportiva. A non averli visti, i goal di Deuchar, il rigore di McGuffie, l’autorete sfortunata di Barry Smith, potevano sembrare uno scherzo. Uno scherzo racchiuso in quello schermo luminoso di Hampden Park, che alla metà di un pomeriggio vagamente soleggiato, recitava a chiari numeri Gretna 3 Dundee Fc 0. In fondo era il primo di aprile, e poteva anche darsi che l’addetto al tabellone fosse stato in vena di simpatiche burle, oppure avesse invariato il risultato dopo un bicchierino di Glenlivet di troppo. Invece era tutto vero. Il manager del Dundee, Alan Kernaghan una statua di sale. Lo spicchio di stadio dove era raccolta la gente arrivata da Gretna esplose di entusiasmo. Alexander abbracciò Milison, e virtualmente la poetica del calcio si strinse a loro. Un sogno che ora andava messo anche in musica. A farlo ci pensò la Hugh Trowsers Band, che presentò la sua versione del popolare brano “Living in the Dream”, in un album uscito esattamente un mese dopo l’impresa della semifinale. L’atto conclusivo si giocò il 13 maggio 2006 contro gli Heart of Midlothian, davanti a più di cinquantamila spettatori. Gli undici di Gretna, con la loro divisa bianca, apparivano come le commosse sposine che nei secoli scorsi spuntavano nel paese da ogni angolo della Gran Bretagna alla ricerca della soddisfazione negata. Se le emozioni fossero un libro, il volto del capitano Chris Innes sarebbe stato la copertina perfetta. Vinsero i “cuori” ai calci di rigore, ma la stanchezza che affiorava dagli occhi di Steven Pressley quando emerse dalle viscere di Hampden Park, con la sua barba biondiccia e la Coppa di Scozia stretta in pugno, raccontò benissimo la fatica che impiegò la squadra allenata dal lituano Valdas Ivanauskas per avere ragione dei sorprendenti avversari. Rudi Skacel aprì le marcature al trentanovesimo del primo tempo per gli Hearts, con un bel diagonale di sinistro che non lasciò scampo all’incolpevole Alan Main. Ma se si gioca come se la vittoria fosse un diritto e non una ricompensa, si rischia di non portare niente a casa, e allora a un quarto d’ora dalla fine, Cesnauskis atterrò in area lo sgusciante John O’Neil e l’arbitro assegnò un rigore al Gretna. Dal dischetto Ryan McGuffie si fece respingere il tiro da Craig Gordon, ma il rimbalzo della palla gli fu favorevole e questa volta insaccò a botta sicura. Uno a uno. E adesso? qualcuno incominciò a declamare di un’impresa epica, qualcun altro più realisticamente aspettava la conclusione. Che arriverà solo dai tiri dagli undici metri, dove gli Hearts saranno implacabili, mentre gli errori di Derek Townsley e Gavin Skelton, risulteranno fatali al Gretna. Certo, non mancarono gli applausi e il giro d’onore. Non mancò neppure la capacità di sovvertire un nuovo pronostico e vincere il campionato di prima divisione dell’anno successivo, dove per motivi di salute, in marzo Rowan Alexander fu costretto a lasciare la panchina a Davie Irons. La squadra patì l’assenza dell’allenatore ed ebbe un appariscente calo di rendimento rimettendo lentamente in gioco il St Johnstone. All’ultima giornata fra i Santi e il Gretna intercorreva un solo punto di vantaggio a favore di quest’ultimi. Ciò nondimeno la vita ha la capacità di trascinarti esattamente dove vuole lei. E in quel punto, come se avessi un appuntamento con la consapevolezza, tutto si fa chiaro. Al novantesimo della partita contro il Ross County James Grady segnerà la rete del 3-2 che mandò sotto le luci della Premier League i Weddingmakers. Il Gretna giocò tutte le gare interne al Fir Park di Motherwell, poiché il modesto Raydale Park non aveva i requisiti minimi per la massima serie. Qualcosa però incominciava a spezzarsi. La prima vittoria arrivò solamente il 22 Settembre, quando la squadra sconfisse 3-2 il Dundee United. Iniziarono ad arrivare brutte notizie a livello finanziario e umano. Debiti per quattro milioni di sterline, e la salute del Presidente Mileson peggiorava di giorno in giorno. Il 18 febbraio 2008, lo staff del Gretna, inclusi i giocatori non stavano più ricevendo lo stipendio. Irons e il suo assistente Derek Collins abbandonarono il club, le cui vicende in panchina furono raccolte dalla coppia formata da Iain Scott e Andy Smith. L’amministrazione controllata fu inevitabile, in automatico gli furono tolti dieci punti in classifica. La SPL si prese l’incombenza di retribuire i giocatori a fine stagione, così da garantire il regolare svolgimento del campionato. Un’agonia che si trascinò fino alla logica retrocessione. La famiglia Mileson non era più in grado di sostenere economicamente la società, e il Gretna FC 1946 cessò di esistere ufficialmente l’8 agosto 2008. Quattro mesi dopo si spegneva anche Brooks Mileson. Resteranno lo spirito e le suggestioni, che saldi come una pietra nel fiume del tempo, rimarranno negli occhi degli scozzesi, e di tutti i veri appassionati di calcio. Di calcio, e di fiabe.
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